Silvana Comelli - GIORGIO EROS MORANDINI L’ESSENZA DELLA VISIONE

Il 31 Luglio 1665 Gianlorenzo Bernini fa fermare la sua carrozza sul Pont Rouge, a Parigi, e contempla per un quarto d’ora il fluire della Senna. Poi, si rivolge al suo accompagnatore, il collezionista ed intenditore d’arte Paul Frèart de Chantelou e dice: “ E’ un bello spettacolo; io sono molto amico delle acque; esse fanno molto bene al mio spirito”. Il senso di pace percepito dall’artista barocco mi ha richiamato alla mente le opere di Giorgio Eros Morandini. Si tratta, infatti, di una serie di sculture intimamente legate all’elemento naturale ed in modo particolare, come sottolinea lo stesso autore, all’acqua. Ma sono sicura, citando l’episodio berniniano, di condividere il pensiero dello stesso artista che, raccontando della sua formazione, ribadisce l’importanza dell’insegnamento dei maestri del presente e del passato. E certo non possiamo nascondere, ripercorrendo la storia della scultura fino ai suoi esiti piu’ attuali, il peso che la tradizione ha avuto in tale arte. Perche’, se e’ chiaro che una scultura, dal punto di vista stilistico, parla il linguaggio dell’epoca in cui nasce, e’ anche vero che certi aspetti tecnici e progettuali si tramandano dai tempi piu’ remoti. E quando ci avviciniamo al singolo scultore, scopriamo in esso un valente conoscitore degli strumenti e dei materiali, un abile artigiano in grado, pero’, d’imprimere un quid grazie al quale la materia pietra, una volta finita non ci sembra piu’ tale, diventa altro: volto, fiore, vento, acqua… e l’artigiano diventa artista.

Alma Maraghini Berni 2009

Nell’importante panorama artistico del Friuli, solo per citare alcuni grandissimi nomi degli ultimi decenni come Basaldella Afro, Dino Mirco, Zigaina e Celiberti, Giorgio Eros Morandini si inserisce tra questi a pieno diritto. Lo fa in silenzio perché è un’artista vero che senza parlare riesce ad esprimere tutto il suo sentimento. Qualità rara oggi il silenzio, troppe parole si sprecano per incensare o esaltare gente qualunque o illustri sconosciuti che balzano agli onori della cronaca per caso, per opportunismo o per futili scandali, tante troppe parole per descrivere il nulla e tanto silenzio invece su chi dovrebbe essere osservato. Ma questo Giorgio l’ha capito e non se ne cura perché la sua forza consiste proprio nel lavorare in silenzio, quasi nell’ombra per perseguire la sua ricerca, inseguire il suo bisogno interiore di creare ed esprimere la sua emotività artistica con la scultura che, come diceva Michelangelo si fa per via di togliere, lui riesce a far parlare i pensieri e le cose. Le sue opere nascono da una formazione classica, cioè antica, perché classico o antico è uguale ad eterno, senza età: il bello, il sentimento, l’amore o il dolore non hanno tempo, non seguono le mode, non si curano dei modernismi né degli ismi in genere, ma seguono l’espressione artistica che vuole emergere dal cuore dello scultore. E Giorgio la cerca anche attraverso l’uso del materiale quel materiale che è nato sicuramente prima dell’uomo, il ferro, il legno, ma soprattutto il marmo. Materiali duri, veri eterni impenetrabili e universali come il mondo. Giorgio li osserva, guarda la terra, la sabbia, gli alberi l’erba mossa dal vento, l’acqua che scorre e l’onda che salta nel mare e vorrebbe prenderli trattenerli, ma la natura non si lascia afferrare, ti richiama, ti sorride ma sfugge proprio quando credi di averla raggiunta! È questa la lotta costante che avvince colui che ricerca la dorma eterna dell’arte e Giorgio ne è stregato, il suo pensiero ricorda e rielabora come quando nei rilievi di sabbia graffiati e scavati ti sembra di vedere l’incessante danzare dell’erba sospinta dal vento come in un delicato accordo di arpe. E la natura è presente in tutte le sue opere è la base essenziale per la forma che prende vita prepotentemente con forza irrefrenabile nel marmo. Il marmo è inconfutabilmente il mezzo con cui si esprime più ardentemente l’animo di Giorgio, egli trae dal marmo sonorità, vibrazioni e accenti che solo un grande artista riesce a trovare, il suo classicismo è nella purezza della forma e come i più grandi scultori del passato, Giorgio ha cercato e trovato nel marmo la vita. Per lui le venature, la levigatura la lucentezza della materia sono come una tastiera con la quale riuscire a raccontare una melodia romantica o urlare un profondo dolore. La forma è essenziale, qualcosa che nasce, suggerisce e si perde, una curva o una sfera per racchiudere tutta la plasticità possibile nell’assoluta astrazione del marmo e nell’essenzialità del colore. Quel colore veramente ridotto agli estremi, al contrasto del bianco e del nero perché Giorgio non solo li sceglie ma nella sua opera li forgia, li scava e li plasma per ottenere col bianco il massimo della trasparenza, col nero la profondità delle tenebre e trovare in definitiva un fremito di vita nelle cose. È un tormento infinito questo scavare, plasmare creare, ma è la vita dell’artista, è quel demone che ti accompagna dalla nascita alla morte, che ti sorride o ti schiaffeggia quando pensi di non aver raggiunto niente, ma ti regala anche momenti unici e impagabili quando ti accorgi che le tue opere, le tue creature sono state capite e apprezzate ed è solo una parola che ti da la forza di continuare: Bello! E bello è sicuramente il lavoro di Giorgio, bello e grandissimo ed è per questo che oggi noi tutti vogliamo dirgli grazie per averci fatto conoscere l’essenza della sua anima!

Cinzia Nicli - POESIA IN PIETRA 2001

Come si può immaginare di vedere uniti due elementi cotrapposti e farli parlare insieme, armonicamente con lo stesso linguaggio? Provate a pensare all’acqua, elemento informe per eccellenza ed allo stesso tempo capace di prendere tutte le sembianze, i volumi, in cui viene contenuta a fronte della pietra, materiale che s’impone, duro, fermo, mentre silenziosamente afferma la sua esistenza. Due mondi diversi, due materie fisicamente, opposte… eppure l’arte riesce a farle coesistere eppure GIORGIO EROS MORANDINI riesce ad unirle con le sue mani con la sia incredibile intuizione. Con dedizione ascolta la pietra, la sonda, riesce a scoprire la sua anima già attraverso l’impenetrabilità del blocco quando ancora non vuole rivelare il suo cuore pieno di sorpresa, di venature che raccontano una storia, a sua storia, che custodisce gelosamente e dona solo facendola scoprire con fatica a chi davvero la vuole conoscere. Morandini quindi con paziente lavoro riesce a modellare la pietra in modo da esaltarne le qualità che porta con sé attraverso il suo processo naturale e a renderla goccia e poi cerchio d’acqua che si diffonde e disperde…..Incredibile pensare alla pietra conme acqua, eppure Morandini ha ricomposto due elementi naturali con le sue mani, la sua estrema sensibilità, la sua arte. un’opera come la “porta del vento” contrappone la lucidità, la levigatezza del marmo nero del Belgio ad una scorza ruvida dall’intrigante texture che si rende cornice naturale di un’affascinante, sapiente capacità di riprodurre il lento lavorio dell’aria che, sferzando, modella. Oppure in Anima vediamo come il marmo rosa del Portogallo può, con la sua delicatezza cromatica, aaicinarsi ad un soggetto così trascendente ed emozionante. C’è da sottolineare pertanto, una volta di più, la difficile scelta del pezzo grezzo da cui poter ottenere temi di tale portata e resi con estrema ed affine delicatezza. Scultore si quindi, ma c’è qualcosa in più, c’è la forza della passione verso un materiale da cui non è facile trarre espressività, emozione. Eppure guardare le opere di Giorgio, genera proprio questo, quasi commozione davanti a tanta poesia scultorea in cui l’artista dialoga direttamente con la materia e riesce a farci conoscere la sua essenza più intima. E allora perché non parlare proprio di un incontro tra uomo e materi?! Siamo di fronte a sculture che diventano testimonianze di un incontro, dell’unione tra due sensibilità: quella dell’artista e della pietra.

Francesca Cursi 2004

Nel panorama della contemporaneità le esperienze artistiche sono molteplici e variabili: sono profonde, ma spesso confuse nelle miriadi di produzioni che nuotano in un mare di confusione di linguaggi e di velleità artistiche da lasciarci per lo più perplessi o scontenti, ma, rare volte, quando capita, sorpresi e felici. Il riappropriarci del peso dell’arte è un’esperienza gratificante ed avvincente. Dopo momenti di sconforto, in cui c’è da chiederci dove vada l’arte e perché ancora abbracciarla, diventa folgorante e fondamentale in incontro come quello che è avvenuto con GIORGIO EROS MORANDINI, perché senti che il suo fare e un fare vero che parte da un bisogno espressivo primario. Non ci possiamo confondere; lo spessore della sua ricerca si sente, si vede e si impone con forza e levità. Riuscire ad alleggerire il peso di un materiale, che ne ha, facendolo rivivere nei suoi bagliori, e di pochi ed è segno di grande maestria. E del Maestro ha la qualità, ma anche la semplicità e l’amore per ciò che fa. GIORIGO EROS MORANDINI privilegia, pur non negandone qualsiasi altro, un materiale, il marmo, si cui sente il respiro, di cui segue gli anfratti, le curve, le vene, le pieghe, le debolezze e le energie. Si crea una sintonia tra le sue mani ed il suo pensiero. Modula come se fosse sabbia del deserto e piega la materia al soffio del respiro, come fosse il vento che segna nel pulviscolo la rosa dei venti e la rosa di sabbia e pietra. Nascono tra le sue mani architetture di città del futuro e di spazi infiniti che ti coinvolgono emotivamente ti costringono a diventare: oggi un piccolo abitante di Lilliput, e domani, nei passaggi d’ingrandimento da studi a strutture urbane, a mangiarti il biscotto di Alice nel paese delle meraviglie per crescere con loro. Il colore si sposa e si posa tra luci ed ombre, tra nero-inferno, bianco-luce, linea-grigia d’ombra e ruba le vibrazioni della luce e le sue rifrazioni riportando nelle opere percorsi di riflessi d’aria. La scultura diventa in GIORGIO EROS MORANDINI paesaggio e presenza vitale di visioni interiori di spazi per l’uomo e la sua esistenza. Noi camminiamo su sentieri di pietra, terra, sassi, sabbia, marmo, cotto, mattone, asfalto, muschi, licheni, sottobosco, foglie, humus e a questi materiali su cui noi lasciamo orme, tracce GIORGIO EROS MORANDINI lancia i suoi segnali, le sue orme, le sue impronte, le sue tracce, i suoi segni e i suoi calchi. La forma artistica preesiste nella materia e l’ artista on fa che scoprirla e metterla in luce: la scultura “arte del levare”, secondo Michelangelo, libera la forma prigioniera nella pietra e le dà spazio. È un artista perché lo fa con orecchio sensibile, quasi assoluto come un musicista; infatti attende da ogni materia che incontra, apparentemente inanimata, di sentirne il respiro e la voglia di essere e di vivere. Sarà presente in OASI DI CERVARA per farci toccare con mano queste creature di regno naturale, ma immobile, apparentemente inanimate, diventare opere e prendere vita.

Giovanni Bovecchi - La memoria della pietra 2002

Con Giorgio Morandini al tavolo di una pizzeria in Piazza Duomo, una delle più belle piazze minori d’Italia, prendo appunti su un fogliaccio di carta gialla per alimenti in vista della stesura del presente catalogo della mostra personale, nella città dell’arte versiliese famosa in tutto il mondo per aver accolto le esposizioni pubbliche dei più grandi scultori di fama internazionale: da Kan Yasuda a Igor Mitoraj, da Pietro Cascella a Fernando Botero, da Folon a Novello Finotti, a….. Qui, in questa città, delle 22 gallerie d’arte, tutte nel piccolo centro storico medievale, Michelangelo è venuto a firmare i contratti di acquisto dei marmi bianchi statuarii. Qui i magistri marmoris, gli artigiani della pietra, lavorano a fianco dei grandi artisti, nell’esecuzione delle grandi opere sculturali, creando una squadra affiatata e solidale. L’intenso rapporto di produzione artistica che gli artisti hanno consolidato con la città gli ha portati a scegliere questo incantevole luogo- a due passi dal Ma Tirreno e protetto dalle meravigliose Alpi Apuane, le montagne dove si diceva che Michelangelo volesse scolpire un gigantesco nocchiero del mare visibile ai naviganti- quale dimora periodica: Fernando Botero ha la sua casa ai piedi della Rocca di Sala; Igor Mitoraj esattamente nel punto ove un tempo sorgeva l’antica Porta a Pisa;Kan Yasuda a Ripa, frazione di Pietrasanta, immersa nella calma delle colline. La sera, ai bar della piazza Duomo, un babele di lingue, e gli artisti si concedono un aperitivo prima di tuffarsi in uno dei numerosi ristoranti del centro cittadino. Morandini ha scelto questa città per una sua personale perché qui la memoria della pietra ha un valore ancestrale, magico: il rituale primordiale e lento, ripetitivo, dell’atto dello scolpire dell’artigiano, ancora legato ad antiche tecniche di lavorazione, la sapienza della proporzione aurea, l’estetica della patinatura, la morbidezza sensuale di un marmo appena levigato, la conduzione di una vita a ritmi francescani. Il tempo pare sospendersi in questo luogo, lo spazio circostante aprirsi come culla archetipa ad accogliere la forma scultorea ideale. È una sensazione irripetibile che produce negli artisti scultori una specie di sindrome di Stendhal, quasi una esperienza mistica. Giorgio Eros Morandini concepisce l’intervento sulla pietra come categoria assoluta dell’atto dello scolpire: nella forma naturale riscava come un archeologo dello spirito la forma primaria, l’idea originaria. La natura ha in sé il ventaglio delle possibile forme perfette. Occorre l’intervento sapienziale dell’uomo e l’abilità dell’artigiano a ricondurle alla visione sensibile, estetica, direbbe Kant. Tutta la produzione di Morandini tende alla ricerca dell’equilibrio formale. La sua estetica risente di un’interpretazione che richiama la neoplatonismo organico, poiché la pietra naturale è intesa quale forma viva, spirituale, soggetta alle leggi del tempo, metamorfica e dinamica: compito dell’artista, del poeta dell’arte, è riappropriarsi visivamente del modello perfetto, scavandolo in essa. In ciò, proprio perché cosa viva, la pietra è con gli altri elementi della terra in rapporto causale. Il mare, il vento, il fuoco. Giorgio Eros Morandini riscrive così nella pietra la grammatica di un linguaggio perduto, misterico e silenzioso, quello del dialogo della terra (leggi pietra) con gli altri elementi fondamentali (il vento, l’acqua, il fuoco). La sua è dunque una scultura che abbisogna dell’intervento profondo, strutturato, sapienzale, dell’artista quale artigiano, artifex mundi, capace di ristabilire l’equilibrio formale e visivo dell’idea assoluta. Un processo artigianale e intellettuale ove ogni passaggio rimandi ad una tecnica manuale e concettuale insieme. Una scultura contemporanea dettata dall’esigenza della forma pura, della linea infinita, del rapporto tra volumi e lo spazio circostante, ispirato alla concezione ideale della proporzione aurea delle architetture.

Dott.ssa Raffaella Ferrari 2011

I temi trattati da Morandini derivano dalla sia tradizione contadina, sono tematiche attinte dal suo vissuto quotidiano, l’unione dell’uomo con la natura. In lui i movimenti del cosmo, come ad esempio l’influenza del flusso della luna nelle nostre attività lavorative e di vita, che determina i tempi giusti di semina, raccolto, lo scandire delle maree, etc…., si svelano attraverso la scultura come mestieri universali. La luna è la signora delle acque. Essa rappresenta la ciclicità, i ritmi individuali in comunicazione con i ritmi cosmici, esprime il potenziale pieno e il potenziale vuoto, la creatività, la faccia nera e la faccia illuminata: la luna domina l’acqua, sia corporee, sia degli oceani, domina i sentimenti e le emozioni, i legami. La poetica di Giorgio è così incentrata sull’acqua e il suo movimento, sugli elementi e le loro unioni e risonanze. L’artista è affascinato da questa sostanza che c’è e non c’è, si fa toccare, assorbire e plasmare, sente la sua essenza, il suo spirito antico, in ogni particella avverte la sua storia. In Morandini la ricerca è studio dell’acqua, la sua anatomia, la sua energia, la sua forza e impalpabilità e la sua forma che non è mai casuale, ma è spinta da forze segrete e proprie interne energie. La scelta ragionata del materiale da scolpire, esso stesso sia marmo nero Belgio, Pietra Piasentina o Marmo Lasa dell’Alto Adige, dona alle sue sculture una sintesi poetica dal risultato straordinario atto a consegnarci la sua personale sensibilità plastica unita alla propria originalità espressiva. Giorgio da vita ad ogni pietra che affronta,, al di la della resistenza e della difficoltà che incontra nello scolpire per mezzo dell’idea della sia mente, egli plasma l’impalpabile, il fuggevole, l’attimo e si basa unicamente sulla sua enorme percettibilità e analisi plastica. Lo scultore mostra di aver assimilato con dovizia la lezione dei grandi maestri del passato con particolare attenzione a Michelangelo. E come diceva Michelangelo in alcuni scritti, dove enuncia il concetto di scultura:” La figura è presente nella mente dell’artista e nella materia, la scultura non è un fare, ma togliere materia. La figura non è visibile, ma esiste, la bravura dell’artista sta nel far emergere”. Michelangelo ancora parla della roccia come Platone parla dell’anima: Man mano che si toglie materia dalla roccia emerge la figura. Così l’idea (figura) è imprigionata nella materia. Come la nostra anima è imprigionata nel nostro corpo”(Fedone di Platone). Michelangelo riprende questo concetto e lo fa proprio rapportando il corpo e l’anima alla materia e alla forma. Lo stesso Vasari nel paragrafo dedicato alla Scultura, capito 1 dice” La scultura è un’arte che, levando il superfluo della materia suggetta, la riduce a quella forma di corpo che nell’idea dello artefice è disegnata”. Ma come arriva alla forma definitiva Morandini? Appurato che la scultura non è un’ arte istintiva, ma di profonda ricerca e studio. Morandini schizza un disegno preparatorio, crea un piccolo modellino già in marmo o gesso, poi lo ingrandisce e procede direttamente nel creare l’opera risolutiva. Egli con flex sottrae e con il martello pneumatico per gradina va a modellare e dominare la pietra cercando le corrette armonizzazioni delle parti ed egli equilibri. A volte però, come è successo per la realizzazione delle onde, salta la realizzazione del modello per passare direttamente dallo schizzo alla fase esecutiva. Giorgio, una volta sgrezzata la pietra e appuntata la forma passa alla cura del particolare, al far uscire la luce dalle sue sculture, cosicchè la levigatezza della lavorazione crea superfici su cui la luce scivola in maniera avvolgente e ne mette in risalto la delicatezza degli effetti plastici. Il riferimento realistico lascia così spazio all’astrazione e diviene sintesi di ragione ed emozione, astrazione e realismo, nascono forme protese verso la libertà e la vita, cariche di forza vitale rimarcate dalla compenetrazione tra pieni e vuoti, levigato e opaco, assottigliato e robusto. Acqua dunque come pietra, elemento umido (legame) e freddo (contenere), incarna lo stato liquido della flessibilità, del rinascimento della materia, la quale tutta ricettività e inerzia, si muove secondo le impressioni ricevute. L’acqua è privilegiata rispetto agli altri elementi, perché, nella sua imprevedibilità possiede tanto la calma, la gravità e la profondità abissale della terra madre, della pietra, quando l’inquietudine dell’aria e la mobilità del fuoco. L’alto livello di rispetto raggiunto dall’artista verso gli elementi da lui raffigurati e la materia che scolpisce gli fa raggiungere livelli di comunicazione d’altissimo spessore che va oltre la fisicità, traducendo dinamicamente il suo moro interiore. Per Giorgio la memoria della pietra ha un valore ancestrale che si vollega direttamente al mito. I miti sono la nostra infanzia interiore, la nostra creatività, sono racconti sacri, scritti, che accompagnano la nostra vita e si riversano sempre su ciò che facciamo, ecco le radici profonde che riemergono e sta solo ad animi sensibili ed eletti a dar forma in sintesi a temi della vita così profondi come gli abissi.

Vito Sutto 2006

Giorgio Eros Morandini scultore poliedrico, tutto materia e spirito, si propone con sculture di varia dimensione che sottacino il senso dell’esistenza per affermarla pienamente. Una cita fatta di acqua e di terra, ma anche di vento. Il vento, lo spirito, corre infatti in mezzo alla materia e la forgia e la adatta al pensiero, il pensiero plasma, come la mano e il tutto viaggia alla velocità dell’equilibrio formale. Per Morandini la scultura E’ l’atto dello scolpire. Come tutti gli scultori veri, l’artista con l’impeto e lo slancio crea le forme, taglia e brucia l’energia senza sempre chiedersi quale sarà l’esito. Guarda porta del vento, un colonnato e il suo raddoppio, um di vuoto, il vento passa lì, penso al grande viaggio dell’acqua, essa è protagonista per Morandini nella stessa misura in cui si svolge in suo colloquio con il sasso. Perché per questo scultore l’opera d’arte è colloquio, è movimento di essenze, confronto, non è staticità monumentale, come i più grandi novecentisti Morandini apre porte e finestre, il materiale è solo un pretesto, la creatività è connessione, l’inventiva mette in moto integrazioni spirituali e materiali, cioè il pensiero e il braccio interagiscono. Il viaggio esistenziale di Morandini comincia con l’acqua e finisce con il sole-è stato detto. Opportuno ricordare il diluirsi della sostanza scultorea nella luce, il gioco dell’acqua sembra innestarsi in ogni vena della pietra, e lo smarrire volume della stessa sembra stemperarsi in una scommessa luminosa. Tra le sue opere alcune esperienze sembrano totemiche, paiono riferirsi ad antiche civiltà orientali, possedere la memoria genetica di una sfida tra l’uomo e lo spazio di tensione antica, gridare alla verticalità-rimandare alla circolarità simbolo della perfezione, oppure rovesciarsi in una geometricità rettangolare e quadrata che sembra segno di una razionalità indomabile.

Silvana Comelli - DIALOGHI DI PIETRA 2000

Osservare le sculture che Giorgio Eros Morandini presenta in occasione di quest’esposizione significa non solo soffermarsi di fronte ad ognuna di esse, ma anche cercare di cogliere il tacito dialogo che l’artista ha instaurato tra l’ambiente che ci circonda, la pietra e l’uomo. L’atto dello scolpire assume, per questo artista, molteplici significati. in primo luogo significa rispettare la materia ed ottimizzarla, ovvero, evidenziarne le caratteristiche migliori; ma significa, anche, ricerca di concordanze e sintonie con l’elemento naturale, nonché ricerca di ordine, armonia ed evoluzione interiore. Se osservassimo con attenzione questi lavori, notiamo che l’intervento dello scultore si traduce nella creazione di contrasti superficiali di liscio/ruvido, pieno/vuoto,luce/ombra. Dicotomie attraverso le quali Morandini fa emergere i particolari più significativi del singolo blocco che di accinge a lavorare. Perché il suo scopo non è quello di superare la pietra, facendola sembrare altro da sé, al contrario, è quello di far si che lo spettatore percepisca costantemente la sua presenza. In questi termini, pensare: “che bella pietra”, di fronte ad una di queste opere, non suona come un’affermazione superficiale, indica invece, aver colto un aspetto importante di un intervento artistico che vuole lasciare spazio anche alla potenzialità comunicativa della pietra. Ed il procedimento ideativo ed esecutivo dell’artista si fonda proprio su un costante compromesso/dialogo tra il suo intervento e la materia. Usare il termine “materia” come sinonimo di “pietra” non è, in quest’occasione, casuale. Lo scultore, infatti, fa una precisa distinzione tra pietra intesa come “materiale” e pietra intesa acome “materia”. Nel primo caso, l’artista, che ha già un’idea in mente, si limita a scegliere un determinato tipo di materiale con cui realizzare il progetto. Nel secondo caso, invece, i procedimento è più complesso. Perché intendere la pietra come materia significa partire fa quest’ultima, ascoltarla, indagarla, coglierne i tratti migliori e scegliere gli attrezzi più adatti a scolpirla. È implicita, in questa constatazione, l’evoluzione del percorso artistico di Morandini. Nutrito dall’esperienza maturata sin da bambino presso la bottega paterna, ed acquisita la totale padronanza dei materiali e degli strumenti del mestiere, lo scultore non si limita più ad osservare e seguire forme gia’ offerte dal blocco, va oltre, interpretando e decidendo personalmente l’intervento più idoneo. Il talento artistico si esplicita cosi’ nel rispetto per le singole valenze della materia, si traduce nella continua indagine sul pezzo. Ciò induce lo scultore ha impiegato due pezzi di recupero dei quali ha evidenziato, con un trattamento superficiale a punta, la grana ed il colore, al fine di esltare la bellezza della materia. Un blocco di marmo di Carrara bianco trovato in una cava è stato risolto in una sequenza di elementi derivati da una sfera scomposta e ricomposta. La lavorazione è a punta e ferrotondo al fine di ottenere una superficie vibrata, atta a catturare la luce. La pietra è indagata da un punto di vista formale e coloristico. L’artista non nega il colore, ed afferma anche che “scolpire è un po’ dipingere”. Ovviamente servendosi dei mezzi della scultura. Dalla lettura di un disco di onice nasce un’opera intitolata “Racconto”. Morandini ha mantenuto inalterate le parti lavorate dalla natura ed ha letto nella sequenza delle piccole cavità tonde, un percorso, che può significar anche la vita di ciascuno di noi. È intervenuto, invece, esaltando la capacità dell’onice di catturare la luce crepuscolare, evidenziando la trasparenza della lastra fino a renderla elemento elemento vivo che muta con il variare della luce naturale. Due opere sono state ideate come “Passaggi per il vento”. La loro originalità è sottolineata sicuramente dall’idea di coinvolgere l’atmosfera nella scultura. Cosi’ nel blocco bianco, una fenditura convoglia l’aria, e le incisioni della punta segnano il suo percorso. Nel secondo blocco, di nero Belgio, si mantiene il contrasto tra parti lisce e ruvide. Qui il canale è più ampio e perfettamente lucido, quasi ad evidenziare il lavorio dell’aria. Collocata a terra è ina lastra di marmo bianco sulla è scolpito l’effetto di una goccia che cade sull’acqua. Apprezziamo qui il passaggio dalla superfice naturale, a quella lavorata più grossolanamente, a quella più rifinita, al fine di esaltare la materia ei di rendere l’idea felle onde concentriche. Con un monolite di marmo bianco di Carrara lo scultore ha saputo trasmetterci una singolare caratteristica della pietra. La fragilità. È superata, in queste opere, l’idea dell’eterna indistruttibilità degli antichi busti marmorei. Le opere presentate infatti non fermano il tempo, sembrano piuttosto seguirlo, acquistando vita e quindi, anche vulnerabilità. La lastra prescelta è finissima, e ciò non è casuale. Morandini vuole proprio ricordarci di questa qualità interiore della pietra, che non sempre è solo materia forte e pesante. La scansione geometrica dei perimetri esterni, definiti da linee rette e da spicchi perfettamente lavorati, crea un gioco di ombre e luci che conferisce ulteriore morbidezza all’opera. Ricordo, infine, della testa in bronzo lucidato per indicare che segna l’inzio di una nuova ricerca che l’artista intende intraprendere: il modellato. L’uso dell’argilla per studiare e preparare i bozzetti per i futuri modelli per la fusione. L’artista, talvolta, a non alterare i segni che il tempo e la natura hanno lasciato, altre volte, ad intervenire con un’azione mirata, ma rispettosa e mai invasiva. Sia che Morandini ritenga necessario accentuare una caratteristica intrinseca della pietra (color, trasparenza), sia che intenda conferire una forma armonica ad un pezzo trovato tra i materiali inerti di una cava. La perizia tecnica si traduce anche nel sapiente uso degli strumenti, forgiati all’occorrenza per soddisfare esigenze ben precise. Morandini predilige la punta, considerata “attrezzo naturale”. Spessori differenti permettono di trattare il materiale ottenendo modulazioni adeguate a far risaltare il suo colore.

PASSATO E PRESENTE
Nessuna di queste sculture è frutto d’improvvisazione. L’artista le crea forte di un mestiere acquisito e di una cultura storico-artistica che gli permette di conoscere quanto è stato fatto dai maestri del passato. Lezione digerita, costante confronto risolto non certo in un’imitazione formale, quanto in n atteggiamento mentale, in un metodo. Notiamo così, pur nella diversità di ciascun lavoro, la presenza di tratti distintivi, caratteristici della “mano” dello scultore. Anzitutto, l’attenta suddivisione spaziale, basata su precisi geometrismi, che conferisce equilibrio alla composizione e produce forme armoniose che diventano veicolo di emozioni. La durezza del materiale è superata sfruttandone le trasparenze e definendo contorni perfettamente lavorati: spicchi che si ripetono e catturano la luce restituendo allo spettatore superfici flessuose e morbide. L’ispirazione per queste scansioni ritmiche deriva dalla natura. Lo sviluppo in verticale dei monoliti esposti nasce da una base solida e si eleca acquistando leggerezza e luce. Morandini coglie quest’aggancio formale prendendo spunto da vegetali: da una pianta d’ortica che si sviluppa, germogliando, in altezza; dalla struttura di un albero, oppure da una goccia d’acqua. Altre volte, l’attenzione si sposta sulle cose che non vediamo, ma sentiamo perché esistono: i sentimenti, l’anima, il vento, il vuoto.

SCULTURE
Due monoliti in serpentino danno vita ad una composizione singolare in quanto costituita da due elementi visibili ed in terzo invisibile. I due blocchi di pietra accostati, infatti, ne originano in terzo: è il vuoto centrale, la cui forma è definita fai perimetri esterni delle pietre.

CONCLUSIONI
È importante ricordare che non occorre ricercare particolari codici di lettura per comprendere queste opere. Il loro valore si trova sicuramente nel talento dell’artista, ma anche in ciò che esse comunicano ad ognuno di noi. Le chiavi di lettura si trovano nell’apprezzamento dell’abilità artigianale, nella capacità di estrapolare da un blocco anonimo le luci, i colori, oppure i messaggi che il sasso suggerisce allo scultore. Morandini è un artista del nostro tempo, ma nutrito di un passato da cui impara costantemente al fine di andare oltre, di elaborare. È presente in tutti i suoi lavori una sorta di “classicità” intesa come ricerca dell’ordine. Ordine che qui si traduce in metrica, in precise scansioni geometriche, in contrasti superficiali e trasparenze che conferiscono equilibrio ad ogni singola creazione.
L’abilità sta proprio qui: racchiude nella semplicità formale la costanre evoluzione/metamorfosi della materia.