Nell’importante panorama artistico del Friuli, solo per citare alcuni grandissimi nomi degli ultimi decenni come Basaldella Afro, Dino Mirco, Zigaina e Celiberti, Giorgio Eros Morandini si inserisce tra questi a pieno diritto. Lo fa in silenzio perché è un’artista vero che senza parlare riesce ad esprimere tutto il suo sentimento. Qualità rara oggi il silenzio, troppe parole si sprecano per incensare o esaltare gente qualunque o illustri sconosciuti che balzano agli onori della cronaca per caso, per opportunismo o per futili scandali, tante troppe parole per descrivere il nulla e tanto silenzio invece su chi dovrebbe essere osservato. Ma questo Giorgio l’ha capito e non se ne cura perché la sua forza consiste proprio nel lavorare in silenzio, quasi nell’ombra per perseguire la sua ricerca, inseguire il suo bisogno interiore di creare ed esprimere la sua emotività artistica con la scultura che, come diceva Michelangelo si fa per via di togliere, lui riesce a far parlare i pensieri e le cose. Le sue opere nascono da una formazione classica, cioè antica, perché classico o antico è uguale ad eterno, senza età: il bello, il sentimento, l’amore o il dolore non hanno tempo, non seguono le mode, non si curano dei modernismi né degli ismi in genere, ma seguono l’espressione artistica che vuole emergere dal cuore dello scultore. E Giorgio la cerca anche attraverso l’uso del materiale quel materiale che è nato sicuramente prima dell’uomo, il ferro, il legno, ma soprattutto il marmo. Materiali duri, veri eterni impenetrabili e universali come il mondo. Giorgio li osserva, guarda la terra, la sabbia, gli alberi l’erba mossa dal vento, l’acqua che scorre e l’onda che salta nel mare e vorrebbe prenderli trattenerli, ma la natura non si lascia afferrare, ti richiama, ti sorride ma sfugge proprio quando credi di averla raggiunta! È questa la lotta costante che avvince colui che ricerca la dorma eterna dell’arte e Giorgio ne è stregato, il suo pensiero ricorda e rielabora come quando nei rilievi di sabbia graffiati e scavati ti sembra di vedere l’incessante danzare dell’erba sospinta dal vento come in un delicato accordo di arpe. E la natura è presente in tutte le sue opere è la base essenziale per la forma che prende vita prepotentemente con forza irrefrenabile nel marmo. Il marmo è inconfutabilmente il mezzo con cui si esprime più ardentemente l’animo di Giorgio, egli trae dal marmo sonorità, vibrazioni e accenti che solo un grande artista riesce a trovare, il suo classicismo è nella purezza della forma e come i più grandi scultori del passato, Giorgio ha cercato e trovato nel marmo la vita. Per lui le venature, la levigatura la lucentezza della materia sono come una tastiera con la quale riuscire a raccontare una melodia romantica o urlare un profondo dolore. La forma è essenziale, qualcosa che nasce, suggerisce e si perde, una curva o una sfera per racchiudere tutta la plasticità possibile nell’assoluta astrazione del marmo e nell’essenzialità del colore. Quel colore veramente ridotto agli estremi, al contrasto del bianco e del nero perché Giorgio non solo li sceglie ma nella sua opera li forgia, li scava e li plasma per ottenere col bianco il massimo della trasparenza, col nero la profondità delle tenebre e trovare in definitiva un fremito di vita nelle cose. È un tormento infinito questo scavare, plasmare creare, ma è la vita dell’artista, è quel demone che ti accompagna dalla nascita alla morte, che ti sorride o ti schiaffeggia quando pensi di non aver raggiunto niente, ma ti regala anche momenti unici e impagabili quando ti accorgi che le tue opere, le tue creature sono state capite e apprezzate ed è solo una parola che ti da la forza di continuare: Bello! E bello è sicuramente il lavoro di Giorgio, bello e grandissimo ed è per questo che oggi noi tutti vogliamo dirgli grazie per averci fatto conoscere l’essenza della sua anima!
Come si può immaginare di vedere uniti due elementi cotrapposti e farli parlare insieme, armonicamente con lo stesso linguaggio? Provate a pensare all’acqua, elemento informe per eccellenza ed allo stesso tempo capace di prendere tutte le sembianze, i volumi, in cui viene contenuta a fronte della pietra, materiale che s’impone, duro, fermo, mentre silenziosamente afferma la sua esistenza. Due mondi diversi, due materie fisicamente, opposte… eppure l’arte riesce a farle coesistere eppure GIORGIO EROS MORANDINI riesce ad unirle con le sue mani con la sia incredibile intuizione. Con dedizione ascolta la pietra, la sonda, riesce a scoprire la sua anima già attraverso l’impenetrabilità del blocco quando ancora non vuole rivelare il suo cuore pieno di sorpresa, di venature che raccontano una storia, a sua storia, che custodisce gelosamente e dona solo facendola scoprire con fatica a chi davvero la vuole conoscere. Morandini quindi con paziente lavoro riesce a modellare la pietra in modo da esaltarne le qualità che porta con sé attraverso il suo processo naturale e a renderla goccia e poi cerchio d’acqua che si diffonde e disperde…..Incredibile pensare alla pietra conme acqua, eppure Morandini ha ricomposto due elementi naturali con le sue mani, la sua estrema sensibilità, la sua arte. un’opera come la “porta del vento” contrappone la lucidità, la levigatezza del marmo nero del Belgio ad una scorza ruvida dall’intrigante texture che si rende cornice naturale di un’affascinante, sapiente capacità di riprodurre il lento lavorio dell’aria che, sferzando, modella. Oppure in Anima vediamo come il marmo rosa del Portogallo può, con la sua delicatezza cromatica, aaicinarsi ad un soggetto così trascendente ed emozionante. C’è da sottolineare pertanto, una volta di più, la difficile scelta del pezzo grezzo da cui poter ottenere temi di tale portata e resi con estrema ed affine delicatezza. Scultore si quindi, ma c’è qualcosa in più, c’è la forza della passione verso un materiale da cui non è facile trarre espressività, emozione. Eppure guardare le opere di Giorgio, genera proprio questo, quasi commozione davanti a tanta poesia scultorea in cui l’artista dialoga direttamente con la materia e riesce a farci conoscere la sua essenza più intima. E allora perché non parlare proprio di un incontro tra uomo e materi?! Siamo di fronte a sculture che diventano testimonianze di un incontro, dell’unione tra due sensibilità: quella dell’artista e della pietra.
Nel panorama della contemporaneità le esperienze artistiche sono molteplici e variabili: sono profonde, ma spesso confuse nelle miriadi di produzioni che nuotano in un mare di confusione di linguaggi e di velleità artistiche da lasciarci per lo più perplessi o scontenti, ma, rare volte, quando capita, sorpresi e felici. Il riappropriarci del peso dell’arte è un’esperienza gratificante ed avvincente. Dopo momenti di sconforto, in cui c’è da chiederci dove vada l’arte e perché ancora abbracciarla, diventa folgorante e fondamentale in incontro come quello che è avvenuto con GIORGIO EROS MORANDINI, perché senti che il suo fare e un fare vero che parte da un bisogno espressivo primario. Non ci possiamo confondere; lo spessore della sua ricerca si sente, si vede e si impone con forza e levità. Riuscire ad alleggerire il peso di un materiale, che ne ha, facendolo rivivere nei suoi bagliori, e di pochi ed è segno di grande maestria. E del Maestro ha la qualità, ma anche la semplicità e l’amore per ciò che fa. GIORIGO EROS MORANDINI privilegia, pur non negandone qualsiasi altro, un materiale, il marmo, si cui sente il respiro, di cui segue gli anfratti, le curve, le vene, le pieghe, le debolezze e le energie. Si crea una sintonia tra le sue mani ed il suo pensiero. Modula come se fosse sabbia del deserto e piega la materia al soffio del respiro, come fosse il vento che segna nel pulviscolo la rosa dei venti e la rosa di sabbia e pietra. Nascono tra le sue mani architetture di città del futuro e di spazi infiniti che ti coinvolgono emotivamente ti costringono a diventare: oggi un piccolo abitante di Lilliput, e domani, nei passaggi d’ingrandimento da studi a strutture urbane, a mangiarti il biscotto di Alice nel paese delle meraviglie per crescere con loro. Il colore si sposa e si posa tra luci ed ombre, tra nero-inferno, bianco-luce, linea-grigia d’ombra e ruba le vibrazioni della luce e le sue rifrazioni riportando nelle opere percorsi di riflessi d’aria. La scultura diventa in GIORGIO EROS MORANDINI paesaggio e presenza vitale di visioni interiori di spazi per l’uomo e la sua esistenza. Noi camminiamo su sentieri di pietra, terra, sassi, sabbia, marmo, cotto, mattone, asfalto, muschi, licheni, sottobosco, foglie, humus e a questi materiali su cui noi lasciamo orme, tracce GIORGIO EROS MORANDINI lancia i suoi segnali, le sue orme, le sue impronte, le sue tracce, i suoi segni e i suoi calchi. La forma artistica preesiste nella materia e l’ artista on fa che scoprirla e metterla in luce: la scultura “arte del levare”, secondo Michelangelo, libera la forma prigioniera nella pietra e le dà spazio. È un artista perché lo fa con orecchio sensibile, quasi assoluto come un musicista; infatti attende da ogni materia che incontra, apparentemente inanimata, di sentirne il respiro e la voglia di essere e di vivere. Sarà presente in OASI DI CERVARA per farci toccare con mano queste creature di regno naturale, ma immobile, apparentemente inanimate, diventare opere e prendere vita.
Osservare le sculture che Giorgio Eros Morandini presenta in occasione di quest’esposizione significa non solo soffermarsi di fronte ad ognuna di esse, ma anche cercare di cogliere il tacito dialogo che l’artista ha instaurato tra l’ambiente che ci circonda, la pietra e l’uomo. L’atto dello scolpire assume, per questo artista, molteplici significati. in primo luogo significa rispettare la materia ed ottimizzarla, ovvero, evidenziarne le caratteristiche migliori; ma significa, anche, ricerca di concordanze e sintonie con l’elemento naturale, nonché ricerca di ordine, armonia ed evoluzione interiore. Se osservassimo con attenzione questi lavori, notiamo che l’intervento dello scultore si traduce nella creazione di contrasti superficiali di liscio/ruvido, pieno/vuoto,luce/ombra. Dicotomie attraverso le quali Morandini fa emergere i particolari più significativi del singolo blocco che di accinge a lavorare. Perché il suo scopo non è quello di superare la pietra, facendola sembrare altro da sé, al contrario, è quello di far si che lo spettatore percepisca costantemente la sua presenza. In questi termini, pensare: “che bella pietra”, di fronte ad una di queste opere, non suona come un’affermazione superficiale, indica invece, aver colto un aspetto importante di un intervento artistico che vuole lasciare spazio anche alla potenzialità comunicativa della pietra. Ed il procedimento ideativo ed esecutivo dell’artista si fonda proprio su un costante compromesso/dialogo tra il suo intervento e la materia. Usare il termine “materia” come sinonimo di “pietra” non è, in quest’occasione, casuale. Lo scultore, infatti, fa una precisa distinzione tra pietra intesa come “materiale” e pietra intesa acome “materia”. Nel primo caso, l’artista, che ha già un’idea in mente, si limita a scegliere un determinato tipo di materiale con cui realizzare il progetto. Nel secondo caso, invece, i procedimento è più complesso. Perché intendere la pietra come materia significa partire fa quest’ultima, ascoltarla, indagarla, coglierne i tratti migliori e scegliere gli attrezzi più adatti a scolpirla. È implicita, in questa constatazione, l’evoluzione del percorso artistico di Morandini. Nutrito dall’esperienza maturata sin da bambino presso la bottega paterna, ed acquisita la totale padronanza dei materiali e degli strumenti del mestiere, lo scultore non si limita più ad osservare e seguire forme gia’ offerte dal blocco, va oltre, interpretando e decidendo personalmente l’intervento più idoneo. Il talento artistico si esplicita cosi’ nel rispetto per le singole valenze della materia, si traduce nella continua indagine sul pezzo. Ciò induce lo scultore ha impiegato due pezzi di recupero dei quali ha evidenziato, con un trattamento superficiale a punta, la grana ed il colore, al fine di esltare la bellezza della materia. Un blocco di marmo di Carrara bianco trovato in una cava è stato risolto in una sequenza di elementi derivati da una sfera scomposta e ricomposta. La lavorazione è a punta e ferrotondo al fine di ottenere una superficie vibrata, atta a catturare la luce. La pietra è indagata da un punto di vista formale e coloristico. L’artista non nega il colore, ed afferma anche che “scolpire è un po’ dipingere”. Ovviamente servendosi dei mezzi della scultura. Dalla lettura di un disco di onice nasce un’opera intitolata “Racconto”. Morandini ha mantenuto inalterate le parti lavorate dalla natura ed ha letto nella sequenza delle piccole cavità tonde, un percorso, che può significar anche la vita di ciascuno di noi. È intervenuto, invece, esaltando la capacità dell’onice di catturare la luce crepuscolare, evidenziando la trasparenza della lastra fino a renderla elemento elemento vivo che muta con il variare della luce naturale. Due opere sono state ideate come “Passaggi per il vento”. La loro originalità è sottolineata sicuramente dall’idea di coinvolgere l’atmosfera nella scultura. Cosi’ nel blocco bianco, una fenditura convoglia l’aria, e le incisioni della punta segnano il suo percorso. Nel secondo blocco, di nero Belgio, si mantiene il contrasto tra parti lisce e ruvide. Qui il canale è più ampio e perfettamente lucido, quasi ad evidenziare il lavorio dell’aria. Collocata a terra è ina lastra di marmo bianco sulla è scolpito l’effetto di una goccia che cade sull’acqua. Apprezziamo qui il passaggio dalla superfice naturale, a quella lavorata più grossolanamente, a quella più rifinita, al fine di esaltare la materia ei di rendere l’idea felle onde concentriche. Con un monolite di marmo bianco di Carrara lo scultore ha saputo trasmetterci una singolare caratteristica della pietra. La fragilità. È superata, in queste opere, l’idea dell’eterna indistruttibilità degli antichi busti marmorei. Le opere presentate infatti non fermano il tempo, sembrano piuttosto seguirlo, acquistando vita e quindi, anche vulnerabilità. La lastra prescelta è finissima, e ciò non è casuale. Morandini vuole proprio ricordarci di questa qualità interiore della pietra, che non sempre è solo materia forte e pesante. La scansione geometrica dei perimetri esterni, definiti da linee rette e da spicchi perfettamente lavorati, crea un gioco di ombre e luci che conferisce ulteriore morbidezza all’opera. Ricordo, infine, della testa in bronzo lucidato per indicare che segna l’inzio di una nuova ricerca che l’artista intende intraprendere: il modellato. L’uso dell’argilla per studiare e preparare i bozzetti per i futuri modelli per la fusione. L’artista, talvolta, a non alterare i segni che il tempo e la natura hanno lasciato, altre volte, ad intervenire con un’azione mirata, ma rispettosa e mai invasiva. Sia che Morandini ritenga necessario accentuare una caratteristica intrinseca della pietra (color, trasparenza), sia che intenda conferire una forma armonica ad un pezzo trovato tra i materiali inerti di una cava. La perizia tecnica si traduce anche nel sapiente uso degli strumenti, forgiati all’occorrenza per soddisfare esigenze ben precise. Morandini predilige la punta, considerata “attrezzo naturale”. Spessori differenti permettono di trattare il materiale ottenendo modulazioni adeguate a far risaltare il suo colore.
PASSATO E PRESENTE
Nessuna di queste sculture è frutto d’improvvisazione. L’artista le crea forte di un mestiere acquisito e di una cultura storico-artistica che gli permette di conoscere quanto è stato fatto dai maestri del passato. Lezione digerita, costante confronto risolto non certo in un’imitazione formale, quanto in n atteggiamento mentale, in un metodo. Notiamo così, pur nella diversità di ciascun lavoro, la presenza di tratti distintivi, caratteristici della “mano” dello scultore. Anzitutto, l’attenta suddivisione spaziale, basata su precisi geometrismi, che conferisce equilibrio alla composizione e produce forme armoniose che diventano veicolo di emozioni. La durezza del materiale è superata sfruttandone le trasparenze e definendo contorni perfettamente lavorati: spicchi che si ripetono e catturano la luce restituendo allo spettatore superfici flessuose e morbide. L’ispirazione per queste scansioni ritmiche deriva dalla natura. Lo sviluppo in verticale dei monoliti esposti nasce da una base solida e si eleca acquistando leggerezza e luce. Morandini coglie quest’aggancio formale prendendo spunto da vegetali: da una pianta d’ortica che si sviluppa, germogliando, in altezza; dalla struttura di un albero, oppure da una goccia d’acqua. Altre volte, l’attenzione si sposta sulle cose che non vediamo, ma sentiamo perché esistono: i sentimenti, l’anima, il vento, il vuoto.
SCULTURE
Due monoliti in serpentino danno vita ad una composizione singolare in quanto costituita da due elementi visibili ed in terzo invisibile. I due blocchi di pietra accostati, infatti, ne originano in terzo: è il vuoto centrale, la cui forma è definita fai perimetri esterni delle pietre.
CONCLUSIONI
È importante ricordare che non occorre ricercare particolari codici di lettura per comprendere queste opere. Il loro valore si trova sicuramente nel talento dell’artista, ma anche in ciò che esse comunicano ad ognuno di noi. Le chiavi di lettura si trovano nell’apprezzamento dell’abilità artigianale, nella capacità di estrapolare da un blocco anonimo le luci, i colori, oppure i messaggi che il sasso suggerisce allo scultore. Morandini è un artista del nostro tempo, ma nutrito di un passato da cui impara costantemente al fine di andare oltre, di elaborare. È presente in tutti i suoi lavori una sorta di “classicità” intesa come ricerca dell’ordine. Ordine che qui si traduce in metrica, in precise scansioni geometriche, in contrasti superficiali e trasparenze che conferiscono equilibrio ad ogni singola creazione.
L’abilità sta proprio qui: racchiude nella semplicità formale la costanre evoluzione/metamorfosi della materia.